"Tali leggi non hanno nulla a che vedere con una formula cosciente da applicare; fanno parte di quella logica irrazionale, o logica della sensazione, che costituisce la pittura.

Non sono semplici ne' volontarie.

Non si confondono con l'ordine di successione da sinistra a destra.

Non assegnano al centro un ruolo univoco. Implicano costanti che mutano caso per caso”.

 

Gilles Deleuze, Francis Bacon, Logica della sensazione

 

 

 

Nel processo di creazione dello spettacolo vivente tutte le diverse componenti devono ugualmente concorrere al risultato finale, ognuna portando il contributo del proprio specifico linguaggio. La luce e la scenografia presentano molti punti in comune, trattando ambedue della definizione dello spazio: “non separate la professione dello scenografo da quella del disegnatore di luci. L’illuminazione è materia” (Josef Svoboda).

 

 

 

Coerentemente alla definizione di “teatro fisico” che Paola Bianchi ha sempre adottato, nei suoi spettacoli l'elemento scenografico è spesso assente o estremamente ridotto, suggerito e stilizzato, mentre è sempre presente una forte connotazione drammaturgica, con tutte le esigenze che essa comporta in termini di definizione di tempo, luogo e azione.

 

In mancanza di scenografia, sta alla luce il compito di creare il contesto, cioè la definizione dello spazio, del luogo in cui l’azione teatrale avviene. “Luogo” naturalmente inteso non come indicazione geografica (aperto/chiuso, il Castello di Elsinore…), ma come categoria teatrale e poetica.

 

Il contesto è l’elemento che determina la relazione tra lo spettatore e l’azione; è lo spazio vuoto, l’intervallo tra l’opera e chi la guarda, che stabilisce la distanza e permette il lavoro dello spettatore. La scenografia, come la intendono Appia o Svoboda, ha lo stesso scopo.

 

 

 

Il contesto

 

Per il mio lavoro di creazione luci, la domanda fondamentale è proprio quella sul contesto: quando il contesto è chiaro, la risposta è semplice, il disegno luci è efficace. Così per lo spettatore.

 

Ad esempio, alcuni spettacoli:

 

Flatus - Una sola indicazione scenografica. Una lampadina e una rete da letto, un interno in un luogo di costrizione, di estrema reclusione.

 

La luce viene da una sola direzione, disegna ombre scure. La direzione di provenienza cambia, compie un giro di 360° attorno allo spazio; inizia un taglio da sinistra, poi un controluce, poi un taglio da destra, per terminare, finalmente frontale e intensa, nella danza finale di rivolta e coscienza. La qualità della luce cambia a seconda della gradazione emotiva dell’azione. Al centro, nell'intervallo del sogno, del gioco o del contatto umano, la luce arriva a sfondare la ristrettezza del luogo e ad aprire lo spazio, illuminando di un blu profondo il muro posteriore del teatro.

 

FK - è stato per me lo spettacolo più difficile da costruire, perché più difficile è stato capire e decidere il luogo dove l'azione veniva agita. Credo che la definizione più vicina sia "la mente di Frida Kahlo (e di Paola Bianchi)", e in effetti è uno spettacolo dove la costruzione intellettuale ha avuto molto peso in rapporto al risultato finale.

 

Figura Umana - Rispetto all’impostazione drammaturgica di FK, Figura Umana è uno spettacolo non tanto sulla vita di Francis Baconm quanto sulla sua opera, quindi la risposta è per me più semplice: siamo nell'opera di Bacon.

 

Le luci sono la campitura di Bacon, sono il reticolo di Eadward Muybridge, che permette di calcolare con esattezza lo scarto del movimento tra un fotogramma e l'altro.

 

Visioni irrazionali - Molto diverso il caso che si presenta nelle Visioni irrazionali, spettacolo “site specific” che nasce come una serie di visioni in spazi spesso non teatrali. Lo spazio esistente è elemento fondante, lo spettacolo viene costruito volta per volta scegliendo contemporaneamente gli spazi e le visioni che meglio corrispondono tra di loro, in un reciproco scambio a due direzioni.

 

Spesso le sale in cui vengono agite le singole visioni sono molto piccole, le dimensioni consentono appena la presenza del performer e alcuni pochi spettatori; manca lo spazio fisico necessario per una netta divisione tra azione e spettatore, tra palco e platea.

 

Non c'è alcun bisogno di “creare” uno spazio, perchè c'è già, è definito e scelto; la luce vi si deve inserire e integrare, deve essere il trait d'union tra luogo fisico e luogo teatrale, tra edificio e spettacolo, e deve essere essenziale, necessaria, quasi di servizio. Ricordo l'allestimento di Diciassette per una nubile senza candele a Fidenza, di cui sono stato solo spettatore, in cui Paola e Ivan decisero di usare come unica illuminazione di alcune sale la luce che proveniva dai lampioni stradali. Lo spazio era là, già tutto là, anche con la sua propria luce; inutile e dannoso cercare di combatterlo.

 

In un particolare caso, la Visione irrazionale 55 come è stata presentata al Festival Drodesera nel luglio 2007, la grandezza della sala permetteva una certa distanza tra pubblico e performer, e quindi un lavoro sullo spazio: all'inizio si vede un angelo illuminato da un solo proiettore, circondato dal buio: una visione preziosa, un essere soprannaturale. Lentamente, il performer si sposta, abbandonando le ali, e contemporaneamente l'intera sala si illumina di una luce piatta e incolore, rivelandone tutto lo squallore. Rimangono un paio di ali finte e un piccolo uomo seduto nell'angolo di un grande capannone in rovina.

 

 

 

Dentro la scena

 

La luce deve respirare insieme alla scena: la presenza scenica del tecnico, anche se la sua azione è mediata dalla consolle del mixer luci, deve essere percepita sulla scena. Questo significa per me essere coinvolto nell'azione, essere dentro il palcoscenico.

 

Quando lo spettacolo ha preso forma, quando cominciano le prime prove filate, quando riesco ad acquisire quel minimo di sicurezza e di memoria tecnica che mi permette di avere una distanza, di non essere completamente dentro lo spettacolo ma di poterlo anche guardare da fuori, solo allora comincio a capire quello che sto facendo: tutte le idee, le immagini si costruiscono in un insieme coerente, che spesso riesco a vedere solo a posteriori.

 

Ancora in seguito, più tardi, scopro che ci sono delle idee, delle immagini che ritornano, delle costanti. Due danzatrici eseguono una coreografia all'unisono, illuminate di taglio: una solo da destra, l'altra solo da sinistra. Hanno gli stessi movimenti, ma la luce le rende diverse. Una ha illuminato il volto, l'altra ce l'ha in ombra, ma in compenso la spalla è in piena luce. Disegni d'ombra.

 

C'era in Flatus, in Assedio, in Figura Umana.

 

In FK c'è una situazione analoga di unisono, ma si tratta del finale, nel quale le due figure di Frida si riuniscono, e bisognava accentuare la somiglianza, non la differenza.

 

Non ho mai proposto questa immagine in altri spettacoli non di Agar; ogni stile, ogni estetica richiede la propria luce.

 

 

Firenze, 07 11 2007

 

pubblicato in:

CORPO POLITICO

distopia del gesto

utopia del movimento 


di paola bianchi

a cura di Silvia Bottiroli e Silvia Parlagreco

2013 Editoria & Spettacolo

collana Spaesamenti a cura di Paolo Ruffini